28/08/14

Il convegno trattava di come nasca e come si perpetui il potere politico nelle arti e nel mito | LE TRE VIE

Elémire Zolla, (Torino, 9 luglio 1926 – Montepulciano, 29 maggio 2002), è stato a lungo ordinario all'Università La Sapienza di Roma. Tra le opere dell'ultimo decennio: Aure, L'amante invisibile, Archetipi, I letterati e lo sciamano, Verità segrete esposte in evidenza, Le meraviglie della natura, L'androgino, J Petru CUlianu; presso Adelphi sono apparsi Uscite dal mondo (1992) e Lo stupore infantile (1994).

LE TRE VIE
È tempo di inebriarsi! Per non ridurci a
martirizzati schiavi del Tempo, ubriacatevi,
ubriacatevi costantemente! Col vino,
con la poesia o con la virtù, a vostra scelta.
 BAUDELAIRE, Eniurez-uous,in Le Spleen de Paris

Quest'uomo è il vostro re; quanto a noi
(brahmani), il nostro re è Soma.
Saiapothabrahmana, V, 4, 2, 3


PREFAZIONE 
Un giovane inglese barbuto, come uscito da un galeone del Settecento, come irruvidito dagli uragani; a vent'anni si era lanciato a piedi per vie e sentierini dell'India fino all'Assam e mi confidava, con voce inabissata, d'essere allora pervenuto all'intimità più stretta coi cacciatori di teste d'una tribù ancora intatta in quelle foreste. Ora però commentava con rigore ogni variante nelle figurazioni di Visnu succedutesi per due millenni e sperava in una chiamata da un'università tedesca. Era riuscito a indire un convegno a Lucknow con l'aiuto dei politici locali, che ricevettero entro una tenda di stile moghul Indiani, Americani, Europei.

Il convegno trattava di come nasca e come si perpetui il potere politico nelle arti e nel mito, da quali pantheon discenda e si faccia spalleggiare. Propizia la città! La sua storia terrificante e sontuosa risuona a ogni crocicchio. Ricca d'accademie di danza e di pittura, d'un prezioso museo, offre una struggente bellezza, il Grande Imàmbàra, apice dell'architettura moghul, uno spazio definito, abbracciato, ritmato da quinte su quinte di palazzi rossi merlettati, da successive spianate di roseti e folti di tamerici tagliati da scalee monumentali variamente angolate. In cima un'abbagliante moschea. Lo contemplavo nei crepuscoli: la sconfinata conca di meraviglie puntava, verso il cielo turchino, verso nubi di madreperla già arrossate all'orlo, la selva di pinnacoli moreschi e di torri bombate; si stendeva un soave ventaglio di pennacchi in muratura, a corona dell'ingresso chiamato Porta Romana, ovvero bizantina, volto a occidente. Di rado il potere politico si è espresso con tal fasto, giustificandosi, tramutandosi in purissima bellezza.

L'opera fu decisa dai Moghul perché una carestia affliggeva le masse: le impiegarono e la depressione economica svanì. «Come fece Roosevelt » dissi a un'amica americana, che mi liquidò di rimando: «Si da noi nella Carolina Settentrionale fece costruire cessi a decine di migliaia». Ricordo di quelle giornate dialoghi memorabili. Trovai chi volle seguirmi nell'immaginare che i manichei fossero discesi dai giaina: ne riproducevano l'ascesi inflessibile e la gerarchia culminante nei Perfetti protesi al suicidio. Stranamente ciascuno sembrò aprirsi, raccontare la propria passione più profonda. In particolare entrai in dimestichezza con un anziano brahmano di Benares, Anand Krishna, il cui padre aveva lasciato alla galleria dell'università indù la collezione di Roerich. Anand era d'una compitezza incantevole, avvolto nei bianchi veli della sua casta. Parlò d'una società segreta che reggeva l'impero del Lorenzo de' Medici indù, Akbar. La setta lo adorava come Dio. Ogni membro riceveva un medaglione che lo raffigurava, da portare avvolto nel turbante, e giurava di evitare, salvo caccia o guerra, la violenza, e di non scordarsi per un istante di Dio, mantenendo la pace perpetua fra ogni religione, onorando le stelle.

Prostitute consacrate abitavano a corte, recando l'immagine della dea sul ciuffo in cima al capo, avendo giurato di dedicare tutti i loro atti agli dèi. Anand illustrava a ogni tratto la consapevolezza che ascesi ed eros, potere e rinuncia sono avvinti in modo cosi serrato da fondersi sotto l'occhio sapiente. Ma anche altri mi attrassero, in quella compagnia impegnata a rievocare i tempi in cui era sovrano chi avesse incontrato e amato la dea delle acque sotterranee, che gli aveva fatto dono delle terre da lei intrise e nutrite. Parlò K. Fischer, dell'Università di Bonn, autore d'un trattato su « Erotismo e ascesi nell'arte indù »; mostrò che talvolta la dea elargitrice d'imperio è una centaura, e spesso un divino palafreno è il tramite del potere politico. Nei riti indù per l'accrescimento della potenza regale, la regina simulava l'accoppiamento con il destriero sacrificato, per assorbire nel grembo l'impero. Fischer ricollegò questa mistica equina alla forma retrattile del membro dei cavalli, simbolo d'una simultanea capacità di erotismo e di ascesi, che da sempre è l'ideale mistico indù e si manifesta nella figura di Siva, così come per i buddhisti si manifesta negli esercizi di meditazione sul pene retrattile del Maestro.

A tal punto il cavallo continua a essere il simbolo del potere, che, in luoghi dell'India dove esso è sconosciuto, tuttavia si immagina che il dio difensore del villaggio ne faccia il circuito sul suo corsiero durante la notte, a scongiurare le insidie della tenebra. F. Baldissera, dell'Università di Milano, illustrò una forma che prende la dea della distruzione, Durgà, come elargitrice della regalità. Durgà è la dea della decapitazione. Finché gli Inglesi non abrogarono la consuetudine, sulle rive del Gange, a Benares, nel tempio della dea, i devoti estatici si rotolavano per terra fino a troncarsi di netto la testa contro una sega, e le acque del fiume accoglievano l'offerta, la quale può propiziare l'impero. Nel Nepal il fondatore d'una dinastia doveva trovare chi consentisse a farsi decollare da lui, possibilmente una donna incinta, ed egli prometteva che la testa mozza sarebbe stata, venerando cimelio, l'oracolo dinastico....
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