03/09/14

Devozione, l'ulteriore, che li armonizza col Tantra | LE TRE VIE

............alla fine li saprà considerare equivalenti.[Qui]

Ma l'India propone un accordo ancor più penetrante e vertiginoso di questo fra consapevolezza e devozione, l'ulteriore, che li armonizza col Tantra (o shingon mikkyo giapponese). Eppure, come potrebbero mai fondersi la meditazione sorretta dalla logica o la dedizione a Dio con gli estremi oltraggi, con la violazione delle leggi più domestiche? Una noterella da nulla può avviare la riflessione: esistono possibilità efferate che la guerra impone con il crisma dello Stato, allora ogni delitto d'incanto diventa legge. La semplice sicurezza pubblica si mantiene soltanto allenando alla furia e all'inganno, che possono far rabbrividire chi coltivi con amore la pace. Non si può che convivere con la porzione funesta e fatale dell'esistenza; da questa inevitabilità germogliarono le scuole monastiche buddhiste che coltivarono arti marziali spinte alle vette della destrezza.

Si rifletta, che cos'è mai il bene che più ci persuade, al quale ci stringiamo con dedizione, con tenero affetto? E vietato o prescritto il contrario di qua e di là d'una catena di montagne, le leggi all'apparenza più connaturate si svelano per futili all'occhio esperto: pene d'oltretomba si comminavano in Oceania alle donne che scartassero il tatuaggio, ai maschi che rifiutassero di forare l'orecchio per appendervi un ciondolino, a Sparta il biasimo più feroce si abbatteva sul ragazzotto che non volesse aggredire di soppiatto con mano omicida un Meteco, e dall'Egitto alla Somalia maomettani e cristiani credono sia un gran bene l'amputazione cruenta degli organi femminili. Invero, geografia e storia ribaltano ogni regola intorno al male e al bene. Per inoltrarci più in là di queste osservazioni banali, può essere d'aiuto il Bodhisattvàcàryàvatàra di Sàntideva, guida preziosa per intendere che cosa sia la vita di un santo o bodhisattva.

Sàntideva esamina, fondamento di ogni moralità, il desiderio di perfezionarsi superando le tendenze maligne che ferrnentano nella coscienza, e osserva: il processo che si promuove per attuarlo genera un divenire non diverso da qualsiasi altro, perché suscita apprensione ostentando i nostri difetti e attaccamento riscontrando le nostre virtù. Occorre viceversa che ci alleniamo a non reprimerci e a non esaltarci, prestando semmai attenzione a ciò che sembriamo essere, senza mai intervenire o compiere sforzi, accettando con impassibilità lo spettacolo della parte misera e riconoscendo senza ombra di soddisfazione le tendenze buone. Si perverrà in tal modo a comprendere che ogni emozione è falsa e turba la retta visione. Arrivati a questo punto, sarà chiaro che l'atto di emanar norme sta a un grado inferiore rispetto allo studio dell'unità o della liberazione. Qualunque impegno nella normativa significa scindere certi comportamenti dai loro contrari, imponendo una dualità. Ma per forza connessioni, infiltrazioni, osmosi salderanno gli opposti. Chi viceversa si pone dal punto di vista dell'unità, supera ogni separatezza e forse si potrà distanziare da qualsiasi questione morale. Essa non lo concerne, gli è indifferente nella proporzione del suo zelo a ricercare l'unità.

Ci si dovrà spingere infine a immaginarci un peccato capace di calare alla sua scaturigine ultima: al puro scatto d'energia, che si potrà quindi sfruttare per raggiungere l'unificazione liberatrice. Si sarà infine in grado di individuare nel Tantra un cammino che non si distingue in ultimo dai tragitti compiuti nella quiete virtuosa. Le tre vie, conoscenza, devozione e tantrismo, possono recare all'identico fine. Dipenderà dal destino, dalla capacità di ciascuno, imboccare l'uno o l'altro dei tre percorsi. La nostra abitudine a vestire gli abiti del giudice, ad assolvere o condannare tutto ciò che ci cada sott'occhio, forse si potrà abbandonare, quando l'argomento che preme sia la liberazione. Chi giunga a questa sconfinata apertura sulla vita sarà simile a chi detenga la somma del potere: abbia a disposizione l'intera estensione del lecito e dell'illecito, abbracci con sguardo imperiale la verità documentata e quella, più importante, di cui non resta traccia; conosca la cella monacale come il laboratorio clandestino; sappia adottare, facendoselo proprio, il pensiero di sani e infermi, di placati e bramosi; abbia infine esperienza di suggestionabilità e credulità immense, d'eroismi insospettabili e della viltà generale.

A questo grado di maestà dev'essersi sollevato chi davvero sia in grado di comprendere tutt'e tre le vie alla liberazione. Oppure dovrà cantare come William Blake, colui che in Occidente seppe porsi al di là di bene e male, al modo stesso del poeta bengalese che si vantò di « spezzare le due catene del peccato e della virtù, sicché, scrollando la colonna al comando schioccante del cielo, la mente entri nel sùtra del nirvana ». Blake in Jerusalem denuncia chi Prendendo i due Contrari che si chiamano Qualità, di cui ogni Sostanza è rivestita, li denomina Bene e Male. E ne ricava un Astratto che è una Negazione non soltanto della Sostanza da cui deriva ma è l'assassino del proprio corpo e inoltre l'assassino di ogni Membro Divino: questa è la Potenza Razionale, un Astratto che oggettiva, Nega ogni cosa, questo è lo Spettro dell'Uomo, il Santo Potere Razionale nel cui sancta sanctorum è chiusa l'Abominazione della Desolazione. La ragione scinde male da bene, suscita la dualità che riduce tutto a opposizione e guerra, precipita la caduta che separa l'uomo dall'integrità. Che cosa si può opporre a questo desolante, spettrale regime? Devo creare un Sistema o esser schiavo di quello altrui. Non ragionerò, non confronterò: mio compito è Creare.
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