28/09/14

Tàrà doveva adorare come divinità le donne, ornamento dell'esistenza | LE TRE VIE

...... fatto risalire fino al cranio e qui arrestato, sino all'unificazione totale.[Qui]

I LEGAMI FRA L'INDIA TANTRICA E ALTRE NAZIONI 

È possibile che gli accoppiamenti tantrici derivassero dal taoismo: il Mahàcinakramàcara riferisce che Vasistha, figlio di Brahrnà, volle interrogare Visnu-Buddha sui riti della dea Tàrà e, mentre nella sua ricerca attraversava la Cina, scoprì il Buddha: era ebbro, circondato da migliaia di amanti, e gli svelò che se voleva attingere Tàrà doveva adorare come divinità le donne, ornamento dell'esistenza, adottando i riti cinesi. D'altra parte il Rudrayamala fu forse importato dalla Cina; vi si descrive l'insegnamento di un maestro che va accolto al suono di uno strumento, con una donna sensuale a sinistra e una coppa di vino a destra.

Si sa infine che Cinesi emigrati in India insegnavano le loro pratiche sessuali; ancora in tempi moderni certe donne apprendono in postriboli cinesi a reggere pesi sempre maggiori con le labbra del sesso commutate in tenaglia. Nel 716 un missionario partito da Nàlandà si recò alla corte dell'imperatore Xuan Zong e vi tradusse il Mahàvairocana Sùtra. Il primo maestro cinese di tantrismo, Huiguo, iniziò a sua volta il giapponese Kùkai, il quale identificò Mahàvairocana con il bodhicitta, riflesso del cosmo situato nel corpo. In Giappone Mahàvairocana fu identificato altresì con la dea shintò del sole. Invece in Birmania nel XIII secolo il tantrismo attecchì, come testimoniano ancora oggi i templi Payathonzou e Nandamana a Pagan e vi prosperò la setta di monaci tantrici ari.

Nel Tibet si formò la setta fondata da Padmasambhava, il « vecchio stile» o rnying mapa, che sopravvive oggigiorno. Dei loro riti ben poco è indigeno; secondo Il traduttore francese di Ma gcig Lab sgron, Jerome Édou, perfino il Gcod ha origine in India, nelle prajnaparamità; è la « resezione » d'ogni attaccamento, che si svolge in un cimitero con canti, danze e visualizzazioni, calpestando via via i vari desideri e infine amputando pezzo a pezzo il proprio corpo, che si getta alle dàkini. Nel secolo XV Tson k'apa fonderà i « virtuosi », dge lugs pa, ai quali appartiene il Dalai Lama, ovvero il maestro di oceanica sapienza, come suona il titolo largito al superiore dge lugs pa dai Mongoli nel secolo XVI. I dge lugs pa impongono vent'anni di vita intemerata prima dell'accesso al tantrismo, come i fratelli e le sorelle del Libero Spirito in Europa alla fine del Medioevo facevano premettere ai riti sessuali un vasto periodo d'ascesi.

Il principio fu statuito nei Cargatantra con la spiegazione che il neofita deve disciplinarsi e imparare con l'istinto, mercé un protratto allenamento, il valore simbolico di ogni atto. Altre sette tantriche tibetane hanno un rapporto mediato con la matrice indiana. Il concatenarsi dell'India tantrica al Tibet parte da Nàropà conducendo a Marpa e a Milarepa. I giovani tibetani migravano fino all'Università di Nàlandà in India, per cercare chi li volesse introdurre alle dottrine e alle pratiche più alte, portandosi l'oro per pagare l'iniziazione; Marpa il traduttore era uno di loro, vi andò e apprese le dottrine, e giunse al culmine solo incontrando il sommo Nàropà, Il quale lo mandò in una spedizione probabilmente immaginativa o, ancor più probabilmente, secondo il testo della Vita di Marpa, gli ispirò l'allucinazione di recarsi presso un maestro del Tantra-madre, che attiene alla vacuità essenziale di ogni fenomeno.

Tuttavia è in una successiva iniziazione che Marpa attinse la meta suprema, la trasposizione in un cadavere, che è possibile interpretare come metafora dell'impersonalità totale. Tornerà in seguito da Nàropà, e gli chiederà di continuare l'istruzione. Ormai vede il Buddha come Vajradhara « che brandisce il fulmine» e concepisce la triade suprema come intelligenza immutabile, conoscenza che nasce da se stessa, sintesi delle due; una volta compenetrato di questa triade, si porta nella beatitudine senza speranza e senza timore, senza base e senza radice. Ritorna ancora in Tibet, dove riceve il sogno di tre bellissime dàkini, fiori dello spazio puro: insegnano che soltanto il soffio nell'orecchio comunica la verità, che soltanto l'inesprimibile, che non si esterna in suoni, che non si può vedere, è la verità e soltanto un bambino la coglie.

Dopo questa illuminazione onirica Marpa deve tornare ancora da Nàropà, a dispetto dell'età ormai avanzata, dei lamenti di moglie e discepoli. Sulla strada incontra il sommo Atisa, ostile all'uso di inebrianti nella meditazione (ma soltanto per mantenere la disciplina nella comunità, ci informa l'autore della Vita). Atisa l'avverte che Nàropà è morto. Marpa non gli crede e per sei mesi cerca invano il maestro: il settimo mese ha la visione di un uomo che mangia un cadavere e che gli offre una manciata di costole. Gli fanno ribrezzo, si riscuote e vede sulla parete rocciosa davanti a sé una traccia del cadavere divorato: la ingoia ed è pervaso di gioia. Questo il preludio al supremo sogno che arriderà nel nono mese, quando vedrà il mandala di Hevajra e finalmente Nàropà stesso gli apparirà, facendosi trascorrere sul volto tutti e nove i sentimenti fondamentali dell'uomo, dichiarando: « Il padre è giunto davanti al figlio ». Marpa è travolto dalla gioia.
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