16/11/14

Monteverdi: l'alchimia e la camera Fiorentina | L'Alchimia

............sia come scrittrice che punta la sua attenzione su «filosofie magiche» quali l'alchimia.[Qui]


MONTEVERDI
L'ALCHIMIA E LA CAMERATA FIORENTINA

Ci fu una grande tradizione di studi alchimistici nell'Italia settentrionale, geograficamente composta da un certo numero di ducati indipendenti. Molti duchi e nobili dimostrarono un profondo interesse pe: l'alchimia, nell'ambito di una ternperie culturale favorevole alle tradizioni occulte collocate in una cornice di studi che coprivano una vasta gamma di arti e scienze naturali. Tracce di studi a1chimistici spesso rimangono addirittura nei palazzi. Una stanza destinata a tali studi fu posta a lato del Palazzo degli Uffizi a Firenze e, apparentemente, anche lo «studiolo» (o piccolo studio) di Palazzo Vecchio, sempre a Firenze, era destinato allo stesso scopo.

Entrambe queste stanze sarebbero state utilizzate nel XVI secolo. A partire da un'età più antica, altre tracce si possono ritrovare nei dipinti del Palazzo del Popolo di San Gimignano nei dintorni di Siena. Questi affreschi vengono attribuiti a Memmo di Filippuccio, che li avrebbe eseguiti fra il 130 e il 1317 . I dipinti sopravvissuti coprono un ampio Spazio delle pareti in una piccola camera al piano superiore della torre (uno del famosi «grattacieli» medievali urbani) e raffigurano temi quali il matrimonio e l'unione del Re e della Regina alchimistici, l'immersione della coppia reale nel bagno e la flagellazione dell'uomo-animale che rappresenta la Materia Prima.

Un fiore d'oro dai sei petali, simboleggiante la meta dell'alchimia, è un motivo ripetuto negli affreschi e una donna misteriosa, probabilmente Donna Alchymia in persona, spesso rappresentata come spirito dell'alchimia, fa da guida e da iniziatrice in ogni nuova sequenza pittorica. Ciò che è piuttosto strano è che gli studiosi non abbiano ancora riconosciuto l'ispirazione alchimistica di questi affreschi, sebbene si possano individuare in molte fonti alchimistiche illustrazioni parallele; un manuale sostiene che essi rappresentano «un evidente intento moraleggiante ... mostrando quali pericoli un uomo possa correre quando soccombe alla seduzione femminile».

Per tornare al XVI secolo, Vincenzo Gonzaga, duca di Mantova e primo mecenate di Claudio Monteverdi, fu un grande studioso di alchimia. Si pensa infatti che fu la sua corte il luogo dove il giovane compositore venne iniziato ai misteri di questa arte. Monteverdi praticò l'alchimia lungo tutto l'arco della sua vita e un sonetto composto in ua lode poco dopo la sua morte lo descrive come un «Grande Maestro dell'Alchimia». Nelle sue lettere il musicista menziona diverse volte l'alchimia, anche se, nella migliore tradizione, sono sempre allusioni piuttosto-criptiche. Egli descrive e disegna un alambicco per calcinare l'oro con il piombo e parla dei suoi esperimenti per trasformare il mercurio, «sostanza non rifinita e mutevole, in acqua pura» che, «quand'anche si troverà nell'acqua, non perderà comunque la sua identità di mercurio o il suo peso».

In lettere successive egli cela la natura delle sostanze a cui fa riferimento, parlando solamente di «una pentola di esso», «un piccolo vasetto di questo» e di «un qualcosa». Queste lettere furono scritte negli ultimi anni in cui Monteverdi lavorò come maestro di musica della Basilica di San Marco a Venezia, luogo dove compose alcune delle sue opere più belle, come i Vespri del 1610. L'editore delle sue lettere parla dell'interesse per l'alchimia di Gonzaga come di «un insano entusiasmo per le pseudo-scienze» e suggerisce che il coinvolgimento personale di Monteverdi «non potesse essere altrettanto profondo».

Eppure è un dato di fatto comunemente accettato che Monteverdi fosse appassionatamente attratto dalla ricerca della sapienza, seguace attivo di Platone, desideroso di incentrare la sua musica attorno a queste verità. «Il mio proposito è di mostrare per mezzo della nostra pratica [la pratica musicale, la sua "Seconda Pratica"] ciò che sono stato capace di estrarre dalla mente di quei fllosofi a beneficio della buona arte». Incontreremo più avanti alcuni dei mezzi da lui usati. Per il momento sarà sufficiente riconoscere che l'alchimia, materia a cui Monteverdi era estremamente interessato, avrebbe influenzato le sue composizioni musicali. Vale anche la pena di ricordare che la musica era considerata da molti alchimisti dell'epoca parte intrinseca dell'alchimia.

Talvolta la Grande Opera fu eseguita con l'accompagnamento di canti musicali. Illustrazioni contemporanee agli esordi della musica barocca, sul genere di quelle contenute in Splender Solis [Lo splendore del sole] di Tresmosin (c.1582) e in The Amphiteatre oj Eternal Wisdom [L'anfiteatro dell'eterna saggezza] di Heinrich Khunrath (1609) mostrano la presenza di strumenti musicali nel laboratorio, o di gruppi di suonatori e cantanti come emblema degli stadi del procedimento alchimistico. La musica poteva quindi rivestire un ruolo magico nel laboratorio, per esempio evocando degli spiriti planetari; era anche una guida alle leggi cosmiche in cui il potere delIe vibrazioni, i suoni e i rapporti matematici potevano essere compresi. Un uso ancor più affascinante e diretto della musica nell'alchimia si trova negli Emblemi, Fughe ed Epigrammi di Michae1 Maier (1617), ora disponibile in una nuova «esecuzione» (tradotta e pubblicata da Joscelyn Godwin, con l'accompagnamento di una audiocassetta, Phanes Press 1989).

Qui Maier pone cinquanta fughe musicali a tre voci per illustrare con la musica i simboli alchimistici splendidamente disegnati, molti dei quali sono conosciuti di per se stessi. Sono molto più che illustrazioni: sono, dice Maier, «per la ricreazione dell'anima ... perché siano guardati, letti, meditati, compresi, soppesati, cantati e ascoltati, non senza un certo diletto». Musica ed alchimia avevano già trovato la loro fusione nel laboratorio alchimistico; mentre Maier coltivava questo legame con la sfera ermetica, compositori come Monteverdi la trasportarono in un campo culturale più vasto.
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